venerdì 15 ottobre 2010

Il personaggio di cui parliamo oggi è una mosca bianca nel mondo del calcio, capace di rinunciare a soldi e gloria quando era all'apice della carriera per motivi prettamente religiosi.
Carlos Roa nasce a Santa Fe (Argentina) il 15 agosto del 1969 e si mostra subito interessato ad un oggetto che segnerà gran parte della sua vita, il pallone. Inizia a giocare come attaccante nel Gimnasia de Ciudadela, ma ben presto capisce che è in porta che potrebbe trovare più fortuna. Viene tesserato dal Racing Avallaneda nel 1988 e fa il suo esordio in Primera Division il 6 novembre di quello stesso anno. Si mostra subito portiere di grande affidabilità (al contrario di molti suoi colleghi sudamericani) e diventa uno dei migliori estremi difensori del campionato argentino. Nel '93, suo ultimo anno al Racing, va però incontro al primo dei due grandi problemi di salute che caratterizzeranno la sua carriera: durante un tour estivo in Congo contrae la malaria, che gli fa temere per la vita. Carlos supera alla grande il difficile momento e nel '94 passa a difendere la porta del Lanus, con cui si leverà parecchie soddisfazioni. Nel '96 arrivano infatti la vittoria della Copa CONMEBOL (l'equivalente sudamericano dell'Europa League) e soprattutto il meritatissimo esordio in nazionale. Nel '97, contro il Velez, riesce addirittura a far gol, segnando un calcio di rigore al grande Chilavert, sicuramente più esperto di lui in realizzazioni. E' in quello stesso anno che arriva la svolta della sua carriera: l'allenatore Hector Cuper passa dal Lanus al Mallorca e decide di portarlo con sè. Il '97/98 è una stagione straordinaria per Carlos: è uno dei migliori portieri del campionato spagnolo e trascina la squadra fino alla finale di Coppa del Re. Purtroppo è il Barcellona ad alzare il trofeo, ma Roa si mette in mostra parando ben 3 rigori. Ai mondiali di Francia è lui il titolare indiscusso della Seleccion: gioca un torneo fantastico, senza subire neanche un gol nella fase a gironi e arrendendosi solo ai quarti sotto i colpi dell'Olanda di Bergkamp e Kluivert. E' negli ottavi che dà il meglio di sè: contro l'Inghilterra gioca un match fantastico, con il rigore parato a Batty che rappresenta forse il momento più bello della sua carriera. La stagione successiva è altrettanto emozionante: contribuisce a far vincere al Mallorca il primo trofeo della sua storia, la Supercoppa Spagnola, e trascina la squadra al terzo posto in campionato, miglior piazzamento di sempre. Inoltre arrivano la finale di Coppa delle Coppe (persa contro la Lazio) ed un prestigioso riconoscimento personale, il Trofeo Zamora, assegnato al portiere meno battuto della Liga. E' senza alcun dubbio uno dei migliori portieri al mondo, il Manchester United sembra disposto a fare follie per averlo, ma, inaspettatamente, arriva una decisione che stupisce e commuove il mondo: Carlos Roa si ritira dal calcio per prendersi un periodo di riflessione religiosa. La fede era sempre stata una componente fondamentale della vita di Carlos: da sempre seguace della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, era soprannominato Lechuga per la sua dieta strettamente vegetariana, e non era raro vedergli dedicare molte ore della giornata alla preghiera. Tuttavia nessuno si aspettava una decisione così drastica, che tarpava le ali ad una carriera che stava per prendere il volo definitivo. I successivi 9 mesi li passa in Messico a meditare (anche su una possibile fine del mondo nel 2000) e a compiere lavori caritatevoli: in particolare occupa molto del suo tempo ad aiutare piccoli roditori feriti da attrezzature agricole. Il mondo non comprende la sua scelta, ma i suoi cari (la moglie in testa) continuano ad essergli vicino. E' proprio in questo periodo di meditazione e preghiera che matura un'altra importante decisione: dopo quasi un anno di inattività Carlos sceglie di tornare a fare il calciatore, imponendo però la condizione di non dover mai giocare di sabato (per la sua dottrina giorno sacro e da dedicare interamente alla preghiera). Il Mallorca crede in lui e lo obbliga naturalmente a rispettare il contratto (che scadeva a giugno del 2002), ma Roa non raccoglie molti consensi all'inizio della sua seconda carriera: non riesce a ritrovare la forma ideale e diviene ben presto la riserva del connazionale Leo Franco. Alla fine del contratto viene però contattato dall'Arsenal: Wenger lo tiene in prova per diversi giorni e vorrebbe tesserarlo, ma il suo status di extracomunitario complica le cose. Decide quindi di ricominciare dall'Albacete, nella seconda divisione spagnola. Dopo un paio d'anni tuttavia un macigno si abbatte sulla sua testa: gli viene diagnosticato un cancro ai testicoli. Lechuga non si arrende: passa più di un anno tra chemioterapia e riabilitazione, ma, grazie all'aiuto della fede e dei suoi cari, guarisce e riesce persino a tornare a giocare. Siamo nel 2005 quando ritorna ad allenarsi con una squadra spagnola di terza divisione, la Constancia de Inca, mostrando l'entusiasmo di un ragazzino. Arriva quindi la chiamata della squadra argentina dell'Olimpo, con cui chiude dignitosamente la carriera nel 2006. Negli anni successivi rimane, seppur defilato, nel mondo del calcio: nel 2008 diventa l'allenatore dei portieri del Club Atletico Brown di San Vicente, nel 2010 entra nello staff del Ben Hur di Rafaela, che milita nelle serie minori argentine.

Sulla storia di Roa ognuno ha la sua opinione per ciò che riguarda la scelta che fece nel '99 e che condizionò tutto il suo finale di carriera, ma su due cose non ci possono essere dubbi: un personaggio così, nell'era moderna, è qualcosa di più unico che raro; un portiere così, in Argentina, non lo vedranno per parecchi anni ancora...

Ecco un video con alcune sue parate:



Ecco invece il rigore parato a Batty che diede la qualificazione all'Argentina:

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